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136 TRAGEDIA NON FINITA
Tanto più contra me di sdegno avvampo:

E s’ad alcuno
Asconder per rossor dovessi il fallo,
Che la vita mi fa spiacente, e grave,
Esser tu quel dovresti, i cui ricordi
Così male da me fur posti in opra;
Ma l’amor tuo, la conosciuta fede,
L’avvedimento, e ’l senno, e quella speme,
Che del consiglio tuo sola mi avanza,
( Benchè speme assai debole, ed incerta )
Mi confortano a dir quel, che paventa,
E inorridisce a ricordarsi il core,
E per duol ne rifugge, e che la lingua
Tremante, e schiva a palesar s’induce:
E per questo in disparte io t’ho qui tratto.
Ben rammentar ti dei, ch’appena io fui
Di fanciullezza uscito, e da quel freno
Sciolto, col qual tu mi reggesti un tempo,
Che vago di mercar fama, ed onore,
Lasciai la patria, il caro padre, e gli agi
Delle case regali, e peregrino
Vidi varj costumi, e varie genti;
E sconosciuto io mi trovai sovente,
Ove il ferro si tratta, e sparge il sangue.
In quegli errori miei ( come al Ciel piacque )
Mi strinsi d’amicizia in dolce nodo
Col buon Torindo, Principe de’ Goti,
Che giovinetto anch’egli, e dal medesmo
Desio spronato d’onorata fama,
Peregrinava per li regni estranj.
Seco i Tartari erranti, e i Moschi i’ vidi,
Abitator de’ paludosi campi,
Gli uni Sarmati, e gli altri, ei Rossi, e gli Unni,
E della gran Germania i monti, ei lidi,
E insomma ogni paese, che si giaccia
Soggetto ai sette gelidi Trioni.
Della milizia i gravi affanni seco
Soffersi: e sempre seco ebbi comune
I perigli non meno, e le fatiche,
Che le palme, e le prede. Assai sovente
Ei del suo proprio petto a me fè scudo,
E mi sottrasse a morte: ed io talora
La vita mia per la sua vita esposi.