Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/156

Da Wikisource.

ATTO SECONDO



SCENA PRIMA

ROSMONDA


O felice colui, che questa immonda

Vita nostra mortale in guisa passa,
Che non s’asperga delle sue brutture!
Ma chi non se n’asperge? e chi nel limo
Suo non si volge, e tuffa? ahi! non son altro
Diletti, onor mondani, agi, e ricchezze,
Ch’atro fango tenace, onde si rende
Sordida l’alma, e ’n suo cammin s’arresta.
Però, chi men di cotai cose abbonda,
Men nel mondo s’immerge, e più spedito,
E più candido al Ciel si riconduce.
Io, che dalla Fortuna alzata fui
A quella altezza, che più il mondo ammira,
E son detta di Re figlia, e sorella,
Quanto ho d’intorno, oimè, di quel, che macchia
Ed impedisce un’alma! oh! come lieta
Dagli agi miei, dal lusso, e da’ diporti,
Da questo regal fasto, e dalle pompe
De’ sublimi palagi, io fuggirei
All’umil povertà di casta cella!
Or tra lascive danze, e tra’ conviti
Spendo pur, mal mio grado, assai sovente
I lunghi giorni interi: e aggiungo a’ giorni
Delle notti gran parte: e neghittosa
Abbandono a gran dì le piume, e ’l letto,
Ond’ho talor di me stessa vergogna:
E gran vergogna è pur, che gli augelletti
Sorgano vigilanti ai primi albori
A salutare il Sole; e ch’io sì tarda
Sorga a lodare il Creator del Sole.
La monacella al suon di sacre squille
Desta previen l’Aurora, ed umilmente