Pagina:Tasso - Aminta, Manuzio, 1590.djvu/11

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Scotitor de la terra, il gran Tridente;
Et i folgori eterni al sommo Giove.
In questo aspetto certo, e in questi panni,
Non riconoscerà sì di leggiero
Venere madre me suo figlio Amore.
Io da lei son constretto di fuggire,
E celarmi da lei, perch’ella vuole,
Ch’io di me stesso, e de le mie saette
Faccia à suo senno; e, qual femina, e quale
Vana, et ambitiosa mi rispinge
Pur trà le corti, e trà corone, e scettri;
E quivi vuol, che impieghi ogni mia prova;
E solo al volgo de’ministri miei,
Miei minori fratelli ella consente
L’albergar trà le selve, et oprar l’armi
Ne’rozi petti. Io, che non son fanciullo,
(Se ben hò volto fanciullesco, et atti)
Voglio dispor di me, come a me piace;
Ch’à me fù, non à lei, concessa in sorte
La face onnipotente, e l’arco d’oro.
Però, spesso celandomi, e fuggendo,
L’imperio nò, che in me non hà, ma i preghi,
C’han forza, porti da importuna madre,
Ricovero ne’boschi, e ne le case
De le genti minute; ella mi segue,
Dar promettendo à chi m’insegna à lei,
Ò dolci baci, ò cosa altra più cara:
Quasi io di dare in cambio non sia buono

À chi