Pagina:Tasso - Aminta, Manuzio, 1590.djvu/65

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56 atto terzo.

     90Ò Siluia, tu ſe’ morta.     Daf.     Ò miſerello,
     Tramortito è a d’affanno, e forſe morto.

     Ner.Egli rispira pure: questo fia
     ſuenimento: ecco, riuiene.

     Am.Dolor, che sì mi crucij,
     95Che non m’uccidi homai? tu ſei pur lento.
     Forſe laſci l’officio à la mia mano.
     Io ſon, io ſon contento,
     Ch’ella prenda tal cura,
     Poi che tu la ricuſi, ò che non puoi.
     100Ohime, ſe nulla manca
     À la certezza homai,
     E nulla manca al colmo
     De la miſeria mia,
     Che bado? che più aspetto? ò Dafne, ò Dafne,
     105À queſto amaro fin tu mi ſaluaſti?
     À queſto fine amaro?
     Bello, e dolce morir fù certo allhora
     Che uccidere io mi volſi.
     Tu me’l negaſti, e’l Ciel, à cui parea,
     110Ch’io precorreſſi col morir la noia;
     Ch’apprestata m’hauea.
     Hor, che fatt’hà l’estremo
     De la ſua crudeltate,
     Ben ſoffrirà, ch’io moia;
     115E tu ſoffrir lo dei.

     Daf.Aſpetta à la tua morte,
     Sin che’l ver meglio intenda.


     90O Silvia, tu se’ morta.     Daf.     O miserello,
     Tramortito è a d’affanno, e forse morto.

     Ner.Egli rispira pure: questo fia
     svenimento: ecco, riviene.

     Am.Dolor, che sì mi cruci,
     95Che non m’uccidi omai? Tu sei pur lento.
     Forse lasci l’officio a la mia mano.
     Io son, io son contento,
     Ch’ella prenda tal cura,
     Poiché tu la ricusi, o che non puoi.
     100Ohimé, se nulla manca
     A la certezza omai,
     E nulla manca al colmo
     De la miseria mia,
     Che bado? Che più aspetto? O Dafne, o Dafne,
     105A questo amaro fin tu mi salvasti?
     A questo fine amaro?
     Bello, e dolce morir fu certo allora
     Che uccidere io mi volsi.
     Tu me’l negasti, e’l Ciel, a cui parea,
     110Ch’io precorressi col morir la noia;
     Ch’apprestata m’avea.
     Or, che fatt’ha l’estremo
     De la sua crudeltate,
     Ben soffrirà, ch’io moia;
     115E tu soffrir lo dei.

     Daf.Aspetta a la tua morte,
     Sin che’l ver meglio intenda.

A. Ohime