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Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/156

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150 la secchia rapita


59
     Cosí mentre vezzosi atti e parole
guardi, baci, sospiri e abbracciamenti
facean dolcezze inusitate e sole
agli amanti gustar lieti e contenti;
levò la diva l’uno e l’altro sole,
accusando le stelle e gli elementi,
poiché con tanti e con sí lunghi errori
seguite avea le fiere e non gli amori.
60
     — Misera me, dicea, quant’error presi
quel dí ch’io presi l’arco e ’l bosco entrai!
Quant’anni poscia ho consumati e spesi,
che di ricoverar non spero mai!
O passi erranti e vani e male intesi,
come al vento vi sparsi e vi gettai!
Quant’era meglio questi frutti côrre,
ch’a rischio il piè dietro a le belve porre!
61
     Or conosco il mio fallo, e farne ammenda
vorrei poter; ma il ciel non me ’l consente:
restami sol che del futuro i’ prenda
pensier, di cui mai piú non sia dolente.
Però l’aria, la terra e ’l mare intenda
quel che di terminar giá fisso ho in mente,
e la legge, ch’io fo, duri col sole
sovra me stessa e la femminea prole.
62
     Io stabilisco che non copra il cielo,
ch’io governo, mai piú femmina bella
(eccetto alcune poche ch’io mi celo,
che fien di me maggiori e d’ogni stella),
che sopporti con casto e puro zelo
finir la vita sua d’amor ribella,
e che stia intatta di sí dolce affetto,
se non mentitamente o al suo dispetto. —