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168 la secchia rapita


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     Di terra si levò tutto arrabbiato;
trasse la spada, e sbudellò il destriero,
come fosse il meschin del suo peccato,
de la caduta sua l’autor primiero:
indi al guerrier de l’isola voltato,
— Ti sará, disse, d’aspettar mestiero,
ch’uno scudo i’ ti dia d’altro lavoro;
ché questo i’ nol darei per un tesoro. —
52
     Sorrise il giostratore, e disse: — Questo
teco giostrando ho vinto, e questo voglio.
Il mio val piú del tuo, né saria onesto
che ti volessi anch’io cambiare il foglio. —
Rispose il romanesco: — I’ ti protesto
che lo difenderò sí come i’ soglio. —
E tratto il brando, al solito costume
si scosse il suol, ma non si spense il lume.
53
     E un asinello uscí, che due stivali
per orecchie e una trippa avea per coda;
con l’orecchie feria colpi mortali,
e la coda inzuppata era di broda:
terribil voce avea, calci mortali,
la pelle d’un diamante era piú soda;
e sempre che ferir potea dappresso,
balestrava col cul pallotte a lesso.
54
     Parean polpette colte ne l’inchiostro,
e appestavano un miglio di lontano.
Titta di Cola s’affrontò col mostro
(che tal nomossi il cavalier romano),
e gli fu d’altro che di perle e d’ostro
ricamato il vestito a piena mano.
Egli del brando a quella bestia mena,
ma segna il pelo, ove lo coglie, a pena.