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Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/18

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12 la secchia rapita


19
     Quel dí che Barbarossa arse Milano,
mio nonno guadagnò quest’armi in guerra;
Gherardo mio fratel le chiudea in vano,
ché le porte gittate abbiam per terra:
e s’al cor non vien meno oggi la mano,
se ’l nemico s’appressa a questa terra,
speriam che col suo sangue e la sua morte
ei proverá se sian di tempra forte. —
20
     Accese i cor di generoso sdegno
il magnanimo ardir de la donzella,
onde con l’armi fuor senza ritegno
correa la gioventú feroce e bella.
Con maestoso modo e di sé degno
il Potta la raffrena e la rappella:
— Dove andate, canaglia berettina,
senza ordinanza e senza disciplina?
21
     Credete forse che colá v’aspetti
trebbiano in fresco e torta in su ’l tagliere?
Adattatevi in fila, uomini inetti,
nati a mangiar le altrui fatiche e bere. —
Così frenando i temerari affetti,
distingueva in un tratto ordini e schiere.
Gherardo in tanto in opportuno punto
era correndo a la Fossalta giunto:
22
     ché Bordocchio Balzan ch’avea condotto
la prima squadra, allor quivi arrivato,
s’era con molto ardir giá spinto sotto
a la torre, onde il passo era guardato:
quei de la torre aveano il ponte rotto
da un canto, e ’l varco stretto indi serrato,
e ’l difendean da merli e da finestre
con dardi, mazzafrusti, archi e balestre.