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canto decimo 189


51
     E tanto s’infervora e si dibatte
in quelle ciance sue piene di vento,
ch’eccoti l’antimonio lo combatte,
e gli rivolta il cibo in un momento.
Rimangono le genti stupefatte;
ed egli vomitando, e mezzo spento
di paura, e chiamando il confessore,
dice ad ognun ch’avvelenato more.
52
     Il Coltra e ’l Galiano, ambi speziali,
correan con mitridate e bollarmeno;
e i medici correan con gli orinali,
per veder di che sorte era il veleno.
Cento barbieri e i preti coi messali
gli erano intorno e gli scioglieano il seno,
esortandolo tutti a non temere
e a dir devotamente il Miserere.
53
     Chi gli ficcava olio o triaca in gola,
e chi biturro o liquefatto grasso.
Avea quasi perduta la parola,
e per tanti rimedi era giá lasso;
quand’ecco un’improvisa cacarola,
che con tanto furor proruppe a basso,
che l’ambra scoppiò fuor per gli calzoni
e scorse per le gambe in su i taloni.
54
     — O possanza del ciel, che cosa è questa?
disse un barbier quando senti l’odore:
questo è un velen mortifero ch’appesta,
io non sentii giammai puzza maggiore.
Portatel via, che s’egli in piazza resta,
appesterá questa cittá in poche ore. —
Cosí dicea: ma tanta era la calca,
ch’ebbe a perirvi il medico Cavalca.