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206 la secchia rapita


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     Il conte dicea lor: — Mirate bene,
perché la sopravesta è insanguinata;
e non dite cosí per darmi spene,
ché giá l’anima mia sta preparata:
venga la sopravesta. — E quella viene,
né san cosa trovar di che segnata
sia, né ch’a sangue assomigliar si possa,
eccetto un nastro o una fetuccia rossa,
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     ch’allacciava da collo, e sciolta s’era
e pendea giú per fino a la cintura.
Conobber tutti allor distinta e vera
la ferita del conte e la paura.
Egli accortosi al fin di che maniera
s’era abbagliato, l’ha per sua ventura;
e ne ringrazia Dio, levando al cielo
ambe le mani e ’l cor con puro zelo.
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     E a Titta e a la moglier sua perdonando,
si scorda i falli lor sí gravi e tanti
e fa voto d’andar pellegrinando
a Roma a visitar quei luoghi santi,
e dare in tanto a la milizia bando
per meglio prepararsi a nuovi vanti.
Cosí il monton, che cozza, si ritira,
e torna poi con maggior colpo ed ira.
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     Ma come a Roma poi gisse e trattasse
in camera col papa a grand’onore,
e l’alloggio per forza ivi occupasse
ne l’albergo real d’un mio signore;
e quindi poscia in Bulgaria levasse
con la possanza sua, col suo valore
a quel becco del Turco un nuovo stato,
fia da piú degno stil forse cantato: