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290 rime


II

Ad Elena.....

     — Ragion è ben, chiara mia lampa estinta,
che illuminasti i miei terreni errori,
che se d’Asia il tuo nome arse giá i cori
allor che fu del sangue d’Ilio tinta,
    or ne resti l’Italia in guisa vinta
che a lo sparir de’ chiari tuoi splendori
sparga da gli occhi in tanta copia umori,
che ne ondeggino i mari ond’ella è cinta. —
     Sí disse il mondo allor ch’ei vide, ahi lasso,
de la seconda Eléna i lumi spenti,
ed al suo proprio orror s’ascose in grembo;
     velò di nubi il sol versando al basso
lagrime amare in doloroso nembo
e sospiri esalò con tutti i venti.

III

Donna sdegnata, amante pauroso.

     Veri celesti angelici sembianti
dove folgora e tuona amore irato,
qual core è cosí duro e sí gelato
che incontro a voi di sua virtú si vanti?
    Il mio non giá, che, al balenar di tanti
lampi di sdegno, in cenere cangiato,
null’altro piú ritien del primo stato
che laceri vestigi ancor fumanti.
     Però, se innanzi a voi pallido e privo
di voce io resto, il mio difetto ammende,
donna crudele, un piú gentil costume;
     ché, inaridito tronco, altro di vivo
in me non ho che il foco che m’incende,
e, s’apro in voi questi occhi, è vostro il lume.