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rime 293


VIII

I.

Fulvio Testi ad Alessandro Tassoni.

     Cangia, Alessandro, omai l’onda del Tebro
col natio tuo Panaro, e lascia i colli
di Roma ingrata a chi di pensier folli
e di vane speranze è gonfio et ebro:
    a l’ombra qui d’un mirto o d’un ginebro
farai cantando i miei desir satolli,
e con versi d’amor soavi e molli
loderai la beltá ch’io ’nvan celebro.
     Parmi giá di veder che, posto il freno
tuo patrio fiume a’ fuggitivi umori,
si fermi al canto di dolcezza pieno.
     Vienile, che, se non han porpore ed ori
queste povere piaggie, avranno almeno
per coronarti il crine edre et allori.

2.

A Fulvio Testi.

     Fulvio, mal può di mirto o di ginebro
vaghezza or trarmi a l’oziose e molli
rive natie, poiché tant’anni volli
queste abitar del glorioso Tebro.
    Giá di vani pensier gonfiato ed ebro
non è il mio cor né di speranze folli,
ma vago di morir fra questi colli
ch’onora il Gange ancor, l’Eufrate e l’Ebro.
     Te de l’umil Panaro il lido ameno
ferma cantando e la beltá che adori,
me ferma il fato mio fin che sia pieno;
     ché ’l desio de la patria o degli onori
l’alma stimula in van, s’indietro a freno
le catene del ciel tengono i cori.