Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/44

Da Wikisource.
38 la secchia rapita


55
     Dove credete star? giuro a Macone
ch’io vi gastigherò di tanto ardire:
venga il fulmine tosto. — E l’Aquilone
il fulmine arrecògli in questo dire.
Vulcan tratto a’ suoi piedi in ginocchione
chiedea mercede e intiepidiva l’ire,
lagrimando i suoi casi e l’empia sorte,
ma piú l’infedeltá de la consorte.
56
     Citerea, che si vide a mal partito,
per una porticella di nascosto
da lo sdegno del padre e del marito,
mentre questi piagnea, s’involò tosto:
e dietro a lei, senza aspettar invito,
corsero il dio de l’armi e ’l dio del mosto:
ella in terra con lor prese la via,
e in mezzo a lor dormí su l’osteria.
57
     Gli abbracciamenti, i baci e i colpi lieti
tace la casta Musa e vergognosa;
da la congiunzion di que’ pianeti
ritorce il plettro, e di cantar non osa;
mormora sol fra sé detti segreti,
ch’al fuggir de la notte umida ombrosa
fatto avean Marte e ’l giovane tebano
trenta volte cornuto il dio Vulcano.
58
     L’oste di Castelfranco un gran pollaio
con uova fresche avea quanto la rena:
ne bebbero i due amanti un centinaio,
che smidollata si sentian la schiena;
ma la diva ne volle solo un paio,
che d’altro forse avea pancia piena.
La diva, per non dar di sé sospetto,
presa la forma avea d’un giovinetto.