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canto quarto | 63 |
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— O vero seme del valor latino,
ben aveste l’altrier da Federico
un privilegio in foglio pecorino,
che vi ridona il territorio antico
che terminava giá sopra ’l Lavino:
ma il donativo suo non vale un fico,
se con quest’armi che portiamo a canto
non ne pigliamo noi possesso in tanto.
4
Sol Castelfranco ne può far inciampo,
che rinforzato è di presidio grosso;
ma non avrá da noi riparo o scampo,
se con tant’armi gli giugniamo addosso.
Quivi noi fermeremo il nostro campo
contra ’l nemico, che non s’è ancor mosso;
e potremo goder sicuri e lieti
de’ beni altrui, finché fortuna il vieti.
5
Tutte nostre saran senza sospetti
queste ricche campagne e questi armenti:
la salciccia, i capponi e i tortelletti
da casa ci verran cotti e bollenti,
e dormiremo in quegli stessi letti,
dove ora dormon le nemiche genti:
il re giungerá in campo innanzi sera,
ché giá scesa dal monte è la sua schiera.
6
Ma che piú vi trattengo, o forti? Andiamo
a trar di bizzaria questi capocchi:
leviamgli Castelfranco; e poi vediamo
ciò che faran con quel fuscel ne gli occhi.
Ricco di preda è quel castel: io bramo
ch’ognun ne goda, a ciaschedun ne tocchi.
Io per me certo non ne vo’ un quattrino,
e dono la mia parte al piú meschino. —