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CAPO PRIMO


L’«ELEGANTISSIMO» TEOFRASTO

L'erma di marmo bianco che ritrovata nella villa di Cassio a Tivoli è oggi riposta nel Museo di Villa Albani ed è contrassegnata dalla dicitura in greco Theophrasius Melantae Eresius, ci mostra Teofrasto cinquantenne, la fronte alta e spaziosa solcata da due rughe profonde, le sopracciglia alquanto aggrottate, il naso diritto e un po’ grosso, la bocca ampia ed aperta e carnosa col labbro superiore appena sporgente, la barba folta che gli ricopre le gote e il mento, i mostacchi spioventi, la capigliera densa e pressoché ricciuta come la barba, i lineamenti marcati, il collo proporzionato. Il ritratto ha tutte le caratteristiche della scuola attica del terzo secolo avanti Cristo, e però esprime nella sobria semplicità delle linee l’attitudine di Teofrasto alla meditazione, colorendone fra le labbra il sorriso arguto ma nient’affatto sdegnoso o sprezzante. Copia di un originale che fu probabilmente composto intorno al 322, allorché Teofrasto raccolse l’eredità di Aristotele alla direzione del Peripato, o anche più tardi nel 288-284 alla sua morte, esso è il solo ritratto che oggi possediamo di lui ed è tale che corrisponde forse in tutto all’immagine che di lui ci siamo fatta leggendone le opere e particolarmente i «Caratteri».

Nativo di Ereso o Eresso città dell'isola di Lesbo situata sopra un colle che stendesi fino al mare e distante ventotto stadii dal promontorio Sigeion, Teofrasto figlio del tintore Melanta studiò dapprima in patria con un Alcippo che noi non conosciamo altri-


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