Pagina:Teofrasto - I Caratteri.djvu/68

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il filosofo teofrasto

tenti non debba rimanerne schiavo e adulatore; ma Orazio ammonisce che c’è un vizio peggiore assai, sebbene diverso, ed è «la zoticaggine rozza, sgarbata, goffa, la qual si commenda per andar col capo nudo rasato e i denti sozzi, ma vuol sembrare schiettezza e virtù vera e sincera», asperitas agrestis et inconcinna gravisque, quae se commendat tonsa cute, dentibus atris, dium vult libertas dici mera veraque virtus. Leggetelo Orazio, or che ci descrive l’adulatore e lo zotico: «Quegli più del giusto inclinato all’ossequio e che si fa beffe di chi a tavola siede all’ultimo posto, ma egli intanto trema al cenno del ricco, ripete e raccoglie ogni parola che gli cada di bocca e sembra un fanciullo il quale reciti la lezione al maestro, o un attore che sostenga parti secondarie; questi, invece, lo zotico, s’abbaruffa per quistioni di lana caprina, e s’accapiglia armato di ciance, e dice: non avrò dunque la mia fede di sempre, e non griderò io senza rispetto alcuno quel che penso?...».

Orazio ha la mano leggiera in descriverci tipi e caratteri, l’importuno della satira nona del primo libro e il villan rifatto dell’ottava del secondo libro; ma questo nostro adulatore dell’epistola a Lollio che iterat voces et verba cadentia tollit, e lo zotico che rizatur de lana caprina, e propugnat nugis armatus son tratti felici e degni del Teofrasto migliore. Amico e lettore di Filodémo, il poeta Orazio non avrà letto soltanto Teofrasto, ma anche l’Aristone che Filodémo citava assai spesso nell’opera sui vizi, ed è possibile che egli abbia perciò derivato da lui cotesto aperto interesse per l’etica descrittiva. L’aggettivazione oraziana è così sapiente e acuta che nell’impiger iracundus inexorabilis acer, epiteti che caratterizzano l’Achille omerico, non c’è soltanto un crescendo epico, ma una ricerca squisitamente etica, con quel giuoco estetico di sinonimi che condensa il concetto e lo fa più potente e chiaro. Senza volere entrare in merito alle dispute e controversie che sulla definizione dei vizi sorsero accanite tra gli Stoici e i Peripatetici, chi vorrà legare che tracce evidenti del gran conto che ne fecero gli antichi sono anche nel quarto libro delle «Disputazioni Tusculane» di Marco Tullio Cicerone? Iracundia ab ira differt: estque aliud iracundum esse, aliud iratum, ut differi anxietas


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