Pagina:Teofrasto - I Caratteri.djvu/76

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il filosofo teofrasto

torno all’operetta teofrastea, che, ripubblicata nel 1552 presso Aldo a Venezia da Giambattista Camozzi con l’aggiunta di altri otto caratteri, e nuovamente edita da Enrico Etienne a Parigi nel 1557, e variamente annotata e commentata, riscoteva d’ogni parte l’ammirazione dei dotti. Dolevasi Enrico Stefano che quanto più dilettevoli ed eleganti fossero gli antichi libri, tante più mende e lacune essi presentassero, e ne scriveva a Pier Vettori esaltando l’utilità e lepidezza del libriccino: quid autem hoc Theophrasti libello reperiri, quid fingi aut cogitari potest elegantius? quid utilius? Sed fit nescio quomodo ut quo libri sunt elegantiores eo plerumque comperiantur esse depravatiores. E trentacinque anni dopo, nel 1592, l’ugonotto ginevrino Isacco Casaubon pubblicava a Lione una nuova edizione e traduzione latina con un dottissimo commentario dei ventitré caratteri, per ristamparla di lí a poco nel 1599 con l’aggiunta di altri cinque caratteri ch’egli aveva ritrovati nella biblioteca dell’Elettore palatino in Heidelberg. Affidati alle cure di quel grande studioso, i «Caratteri» apparivano sempre meglio corretti ed emendati, e se ne riproducevano le edizioni e le traduzioni, alcune delle quali, come la prima e seconda edizione di Tommaso Gale, rispettivamente pubblicate a Cambridge nel 1671 e ad Amsterdam nel 1688, sono degne di menzione perché corredate di nuove letture.

È per appunto ora che compaiono le prime traduzioni inglesi, e che Ansaldo Ceba nel 1620 ne apparecchia una in italiano, e Girolamo Benevent nel 1613 ne pubblica un’altra in francese, seguita, nel 1688, da quella del La Bruyère, la quale in appena tre anni raggiunge, presso la casa editrice di Stefano Michallet, la quinta ristampa. Intanto Needham pubblicava a Cambridge, nel 1712, la sua nuova edizione, collazionando il testo su altri otto manoscritti antichi e corredandolo di note e osservazioni critiche e delle dissertazioni del Duport su tredici caratteri: presto seguita nel 1737 dall’edizione olandese di Pauss in Utrecht, anch’essa ragguardevole per le varianti e il commento; e dall’altra, piuttosto disordinata e piena zeppa di congetture e correzioni arbitrarie, che Corrado Schwartz pubblicò a Coburgo nel 1739: e finalmente da quella che Federico Fischer fece stampare nel


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