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FRANCESCO PETRARCA

               Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?
               Le man l’avess’io avvolte entro i capegli!
          15Non spero che giammai dal pigro sonno
               Mova la testa, per chiamar ch’uom faccia;
               Sì gravemente è oppressa e di tal soma:
               Ma non senza destino alle tue braccia,
               Che scuoter forte e sollevarla ponno,
               20È or commesso il nostro capo Roma.
               Pon mano in quella venerabil chioma
               Securamente, e nelle treccie sparte,
               Sì che la neghittosa esca del fango.
               Io che dì e notte del suo strazio piango,
               25Di mia speranza ho in te la maggior parte:
               Che se ’l popol di Marte
               Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi,
               Parmi pur che a’ tuoi dì la grazia tocchi.
          L’antiche mura, ch’ancor teme ed ama,
               30E trema ’l mondo quando si rimembra
               Del tempo andato, e ’ndietro si rivolve;
               E i sassi dove fur chiuse le membra
               Di tai, che non saranno senza fama
               Se l’universo pria non si dissolve,
               35E tutto quel ch’una ruina involve,
               Per te spera saldar ogni suo vizio.
               O grandi Scipïoni, o fedel Bruto,
               Quanto v’aggrada, s’egli è ancor venuto
               Rumor laggiù del ben locato ufizio!
               40Come cre’ che Fabrizio
               Si faccia lieto udendo la novella!
               E dice: ‘ Roma mia sarà ancor bella. ’
          E se cosa di qua nel ciel si cura;
               L’anime, che lassù son cittadine,
               45Ed hanno i corpi abbandonati in terra,

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