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FRANCESCO PETRARCA

          Che vale a soggiogar tanti paesi,
               E tributarie far le genti strane
               96Cogli animi al suo danno sempre accesi?
          Dopo l’imprese perigliose e vane,
               E col sangue acquistar terra e tesoro,
               99Vie più dolce si trova l’acqua e ’l pane,
          E ’l vetro e ’l legno, che le gemme e l’oro.
               Ma per non seguir più sì lungo tema.
               102Tempo è ch’io torni al mio primo lavoro.
          I’ dico, che giunt’era l’ora estrema
               Di quella breve vita gloriosa,
               105E ’l dubbio passo di che ’l mondo trema.
          Er’a vederla un’altra valorosa
               Schiera di donne non dal corpo sciolta.
               108Per saper s’esser può Morte pietosa.
          Quella bella compagna er’ivi accolta
               Pur a veder, e contemplar il fine
               111Che far conviensi, e non più d’una volta.
          Tutte sue amiche, e tutte eran vicine.
               Allor di quella bionda testa svelse
               114Morte con la sua mano un aureo crine.
          Così del mondo il più bel fiore scelse;
               Non già per odio, ma per dimostrarsi
               117Più chiaramente nelle cose eccelse.
          Quanti lamenti lagrimosi sparsi
               Fur ivi, essendo quei begli occhi asciutti
               120Per ch’io lunga stagion cantai ed arsi!
          E fra tanti sospiri e tanti lutti
               Tacita e lieta sola si sedea,
               123Del suo bel viver già cogliendo i frutti.
          Vattene in pace, o vera mortal Dea,
               Diceano, e tal fu ben; ma non le valse
               126Contra la Morte in sua ragion sì rea.

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