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FRANCESCO PETRARCA
Appena ebb’io queste parole ditte,
Ch’i’ vidi lampeggiar quel dolce riso
87Ch’un Sol fu già di mie virtuti afflitte:
Poi disse sospirando: ‘ Mai diviso
Da te non fu ’l mio cor, nè giamniai fia,
90Ma temprai la tua fiamma col mio viso,
Perchè a salvar te e me null’altra via
Era alla nostra giovinetta fama;
93Nè per ferza è però madre men pia.
Quante volte diss’io meco: “ Questi ama,
Anzi arde, onde convien ch’a ciò provveggia!
96E mal può provveder chi teme o brama.
Quel di fuor miri, e quel dentro non veggia:
Questo fu quel che ti rivolse e strinse
99Spesso; come caval fren, che vaneggia.”
Più di mille fïate ira dipinse
II volto mio, ch’amor ardeva il core.
102Ma voglia in me ragion giammai non vinse.
Poi se vinto ti vidi dal dolore,
Drizzai ’n te gli occhi allor soavemente,
105Salvando la tua vita e ’l nostro onore.
E se fu passïon troppo possente,
E la fronte e la voce a salutarti
108I’ mossi, or timorosa ed or dolente.
Questi fur teco mie’ ingegni e mie arti;
Or benigne accoglienze, ed ora sdegni;
111Tu ’l sai, che n’hai cantato in molte parti.
Ch’i’ vidi gli occhi tuoi talor sì pregni
Di lagrime, ch’io dissi: “ Questi è corso
114A morte, non l’aitando; i’ veggio i segni.”
Allor provvidi d’onesto soccorso.
Talor ti vidi tali sproni al fianco,
117Ch’i’ dissi: “ Qui convien più duro morso.”
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