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Pagina:The Oxford book of Italian verse.djvu/221

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LODOVICO ARIOSTO

          E me che, senza me, di me sostenni
               Lasciar, oimè! la miglior parte, il còre;
               66E più all’altrui che al mio desir m’attenni.
          Che di ricchezza, di beltà, d’onore
               Sopra ogni altra città d’Etruria sali,
               69Che fa questo, Fiorenza, al mio dolore?
          I tuoi Medici, ancor che siano tali,
               Che t’abbian salda ogni tua antica piaga,
               72Non han però rimedio alli miei mali.
          Oltre quei monti, in ripa l’onda vaga
               Del re de’ fiumi, in bianca e pura stola,
               75Cantando ferma il Sol la bella maga,
          Che con sua vista può sanarmi sola.


155 Sonetto
C
OME creder debb’io che tu in ciel oda,

Signor benigno, i miei non caldi preghi,
               Se gridando la lingua che mi sleghi,
               4Tu vedi quanto il cor nel laccio goda?
          Tu ch’il vero cognosci, me ne snoda,
               E non mirar ch’ogni mio senso il nieghi:
               Ma prima il fa che di me carco pieghi
               8Caronte il legno alla dannata proda.
          Iscusi l’error mio, Signore eterno,
               L’usanza ria che par che sì mi copra
               11Gli occhi, che ’l ben dal mal poco discerno.
          L’aver pietà d’un cor pentito, anch’opra
               È di mortal: sol trarlo dall’inferno
               14Mal grado suo, puoi tu, Signor, di sopra.


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