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GIOVANNI GUIDICCIONI

181 ii
O
UESTA, che tanti secoli già stese

Si lungi il braccio del felice impero,
               Donna delle provincie, e di quel vero
               4Valor che ’n cima d’alta gloria ascese,
          Giace vil serva, e di cotante offese,
               Che sostien dal Tedesco e da l’Ibero,
               Non spera il fin; chè indarno Marco e Piero
               8Chiama al suo scampo e a le sue difese.
          Così, caduta la sua gloria in fondo,
               E domo e spento il gran valor antico,
               11Ai colpi de l’ingiurie è fatta segno.
          Puoi tu non, colmo di dolor profondo,
               Buonviso, udir quel ch’io piangendo dico,
               14E non meco avvampar d’un fero sdegno?


182 iii
P
REGA tu meco il ciel de la su’ aita,

Se pur (quanto devria) ti punge cura
               Di quest’afflitta Italia, a cui non dura
               4In tanti affanni omai la debil vita.
          Non può la forte vincitrice ardita
               Regger (chi ’l crederia?) sua pena dura:
               Nè rimedio o speranza l’assecura,
               8Sì l’odio interno ha la pietà sbandita.
          Ch’a tal (nostre rie colpe, e di fortuna)
               È giunta, che non è chi pur le dia
               11Conforto nel morir, non che soccorso.
          Già tremar fece l’universo ad una
               Rivolta d’occhi, ed or cade tra via,
               14Battuta e vinta nel suo estremo corso.

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