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CELIO MAGNO
Vidi con alte ingiurie a ciascun varco,
50Contro la qual da pria non cbbi altr’arme
Che lagrime, e sospir da l’alma espressi.
Poi de’ miei danni stessi
L’uso a portar m’agevolò l’incarco.
Quinci a studio non suo per forza l’arco
55Rivolto fu del mio debile ingegno
Tra ’l roco suon di strepitose liti;
Ove i dì più fioriti
Spesi: e par che ’l prendesse Apollo a sdegno:
Chè se fosser già sacri al suo bel nome
60Forse or di lauro andrei cinto le chiome.
Ma qual colpa n’ebb’io, se ’l cielo avverso
Par che mai scmpre a’ bei desir contenda?
E virtù poco splenda
Se luce a lei non dan le gemme e l’oro?
65Nè quanto il dritto e la natura offenda
S’accorge il mondo in tale error sommerso.
Al qual anch’io converso
De le fortune mie cereai ristoro:
Ben che parco bramar fu ’l mio tesoro,
70Con l’alma in sè di libertà sol vaga,
E d’onest’ozio più che d’altro ardente:
Resa talor la mente,
Quasi per furto, infra le Muse paga,
Che, de’ prim’anni miei dolci nodrici,
75Fur poi conforto a’ miei giorni infelici.
Un ben, ch’ogni mal vinse, il ciel mi diede,
Quando degnò de la sua grazia ornarmi
L’alta mia Patria, e farmi
Servo a sè, noto altrui, caro a me stesso.
80Onde umil corsi, ov’io sentii chiamarmi,
A più nobil cammin volgendo il piede.
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