vedere da Quintiliano fatto alcun cenno di questo poeta5 nè ci è più di mestieri d’immaginare o invidia, o altro qualunque motivo per
cui ei ne tacesse. Quintiliano scriveva sotto il
regno di Domiziano; nè poteva perciò favellare di Giovenale che solo regnando Adriano
fece pubbliche le sue Satire. Tra’ moderni non
è mancato chi antiponesse Giovenale non a
Persio solamente, ma anche ad Orazio; e grandi
ammiratori ne furono singolarmente Giulio Cesare Scaligero (Poet. l. 6, c. 6) e Giusto Lipsio
(Epist Quaest. l. 2, ep. 9; l. 4? ep. 15), il
sentimento de’ quali se debba aversi in gran
pregio, in ciò che a valore poetico appartiene,
lascio che ognuno giudichi per se stesso. Assai
diversamente ne pensa il P. Rapin che preferisce di molto (Réflex, sur la Poet. par. 2, § 28)
la grazia e la delicatezza d’Orazio alla impetuosa e rabbiosa declamazione di Giovenale.
E molto prima di lui il Giraldi avea asserito
(De Poetar. Hist. dial. 4) che non dovevasi
leggere Giovenale, se non dopo aver formato
lo stile su’ migliori autori. Par bensì verisimile
che Giovenale si lusingasse di andar innanzi
ad Orazio; e potè ancor persuaderlo a chi nelle
satire non ricerca che versi armonici, parole
sonanti, amare invettive. Ma chiunque pensa,
come han pensato i più saggi scrittori, che la
satira debba naturalmente e graziosamente deridere i vizi, e che ella richieda perciò un tal
verseggiare, che a una apparente semplicità
congiunga una tanto più pregevole quanto men
ricercata eleganza, non temerà mai di anteporre
Orazio a tutti gli altri antichi scrittori di satire.