di alcuni anni l’effetto che la venuta di questi stranieri a Roma cominciava a produrre; ma insieme una nuova occasione diede a’ Romani di concepire stima sempre maggiore delle lettere e de’ letterati. Non aveano essi mai fino allora posto il piede fuori d’Italia. Le loro guerre erano sempre state o con popoli confinanti, o con nazioni straniere bensì e lontane, ma venute a molestarli ne’ loro stati. Ma questa guerra costrinseli a portar l’armi ora in Sicilia, ora in Sardegna, or nell’Affrica stessa. Io non penso che nè la Sardegna nè l’Affrica non giovassero molto a destare in essi l’amor delle scienze. Ma la Sicilia fioriva allora mirabilmente pel coltivamento degli studi e della poesia in particolar modo; perciocchè vivea forse ancora Teocrito, che fiorì, come dicemmo, verso l’olimp. cxxx che coincide appunto co’ tempi di cui parliamo. Le cose dunque che agli sguardi de’ Romani si offrirono in Sicilia, le azioni teatrali che videro ivi rappresentarsi, e gli onori che osservarono rendersi a’ poeti, dovettero nell’animo loro accendere una lodevole emulazione, e determinarli a non essere in questo genere di lodi inferiori a una nazione a cui per ogni altro capo erano di gran lunga superiori. In fatti terminata appena la guerra, il che accadde l’anno di Roma 512, e soggettata pel trattato di pace parte della Sicilia a’ Romani, vidersi tosto poeti in Roma, si videro su’ teatri commedie e tragedie, cominciarono a comporsi poemi; e come le scienze tutte si danno vicendevolmente aiuto e sostegno, gli altri studi ancora, qual più presto, qual meno, vidersi