Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/515

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466 PARTE TERZA, potesse a que’ libri che di cader nelle mani del Re, ed essere esposti alla pubblica luce, con pazzo consiglio gli ascosero in una sotterranea ed umida grotta, ove è facile a conghietturare qual danno ne soffrissero nello spazio di 130 anni, in cui vi stetter sepolti. Finalmente trattine fuora guasti e malconci com’erano, furon venduti a un cotale Apellicone Teio che avea raccolta numerosa biblioteca in Atene. Questi avea buon gusto, quanto bastava a conoscere il pregio, ma non tanto sapere, quanto convenuto sarebbe per intendere pienamente il senso, ove i caratteri eran corrosi, e supplirne il testo ove esso dall’umidità, da’ sorci e da altri somiglianti nemici della letteratura era stato lacerato e guasto. Si accinse nondimeno all’impresa, e quel riuscimento vi ebbe, che era da aspet-] lame. Al danno che i codici sofferto aveano nello squallor della carcere, si aggiunsero gli errori e le cose finte a capriccio, di cui Apellicone gli riempiè. Morì Apellicone , e poco dopo presa Atene da Silla, fra le spoglie che il vincitore giudicò degne d’essere trasportate a Roma, vi fu singolarmente la biblioteca d’Apellicone, e con essa tutti gli scritti di Aristotile e di Teofrasto. Stettero essi per alcun tempo nella biblioteca di Silla, senza che fossero pubblicati; finchè Tirannione gramatico , il quale da Lucullo era stato condotto schiavo a Roma, insinuatosi nell’amicizia di chi ad essa presiedeva, ottenne di avergli in mano, ne fece copia, e gli emendò, come seppe il meglio. Passaron poscia alle mani di un altro greco filosofo detto Andronico da Rodi, che era