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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/590

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LIBRO TERZO 54* para/ioni eonfìdebam, cum praesertim non redisarmi, quominus more patrio sedens in solio con siile riti bus responderem, senectutisque non inertis grato atque honesto fungerer munere. E tal era l’onore e il vantaggio di questo loro esercizio, che taluno per non interromperlo ricusava di salire alla dignità stessa del Consolato. Io penso, scrive Cicerone ad Attico (l. 1, ep. 1), che Aquilio (famoso giureconsulto) non sarà tra’ candidati del Consolato, perciocchè egli ricusa di esserlo, e giura di essere infermo, e reca a sua scusa il regnar che e’ fa ne’ giudici. Ma veggasi singolarmente l’eloquente trattato di Cicerone in lode di questa scienza (De Orat. l. 1, n. 45), ove egli mostra quanto di onore, di autorità, di benevolenza ella arrechi a chi la professa; che tutti i più ragguardevoli e i più illustri cittadini romani eransi sempre ad essa applicati; che niun più dolce e più onorevol conforto potea nella sua vecchiezza avere un uomo passato per le più luminose cariche della repubblica , che il vedersi affollati intorno tutti i suoi concittadini a chiedergli ne’ loro dubbii parere e consiglio; e che la casa di un dotto giureconsulto potevasi giustamente chiamare l’oracolo dalla città tutta. II. Non è quindi a stupire che grandissimo fosse il numero di quelli che a questo studio si rivolgevano. Ma, come suole avvenire, pochi furon coloro che in esso acquistarono singolar fama. Di questi ancora io sceglieronne tre soli a dirne alcuna cosa più in particolare. Non vi è forse materia in cui sia men necessario il distendersi a ragionarne ampiamente: