Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/209

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172 libro

VII. Aliuso delle suasorie «delle ronlroversic. dalle ordinarie maniere di dire, e di andar contro al comun senso degli uomini; ma egli prosiegue con amara ironia, egli era uom rozzo ed incolto, e ben migliori.siam noi, a cui vengono a noia tutte le cose che dalla natura ci vengono insegnate. VII. Un altro abuso che dall1 autor del Dialogo si riprende, si è quello delle suasorie, delle controversie e delle declamazioni in cui allora si esercitavano i giovani. Non già che tali esercizj fosser dannosi; che anzi abbiamo veduto che la declamazione da Cicerone e da altri dottissimi uomini anche in età matura fu praticata; ma perchè erano il solo mezzo che a formarsi alla eloquenza si adoperava, e perchè questo mezzo ancora non usavasi in quella maniera che convenuto sarebbe a renderlo vantaggioso. Sembra che l’autore distingua l’una dall1 altra le tre suddette maniere d’esercitarsi; perciocché dice (n. 35) che le suasorie eran proprie dei fanciulli; le controversie de’ giovani più provetti, e a queste poi aggiugnevasi ancora la declamazione Checchessia di ciò, ei si duole che questa sola fosse la scuola in cui da’ giovani apprendevasi f eloquenza coll1 istruzione de1 relori, uomini che non aveano giammai avuto gran credito in Roma; e che inoltre tali argomenti si proponessero a esercitarsi, quali appena mai si offerivano a disputarne nel foro. E veramente basta leggere gli argomenti delle declamazioni e delle controversie attribuite a Quintiliano e di quelle di Seneca, per intendere quanto ragionevole sia il dolersi che fa di tale abuso l’autor del Dialogo.