Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/258

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usa la stessa metafora, chiamando Claudio una stella sorta per risplendere a pubblica felicità. Perchè dunque non potè Curzio usare egli pure di somiglianti espressioni? Anzi questo confronto de’ sentimenti e delle parole di questi due scrittori non è forse un’altra non dispregevole prova della mia opinione? XI. Io non parlo di un altro passo di Curzio, di cui alcuni si son valuti a confermare l’opinione loro intorno all’età di questo scrittore; perciocchè io penso che non se ne possa trarre argomento alcuno a conferma di qualunque sia sentenza. Parlando egli dell’assedio di Tiro, dice che questa città Nunc tandem, longa pace cuncta refovente, sub tutela romanae mansuetudinis reflorescit (l. c. 4); e quindi pensano alcuni che a fissare l’età di Curzio debba cercarsi in qual tempo godesse il romano impero di quella lunga pace di cui egli ragiona. Ma, a dir vero, la pace che qui si accenna, non appartiene già a Roma, ma sì a Tiro che da lungo tempo si stava tranquilla e sicura. Di fatto qual vantaggio, o qual danno poteva recare a Tiro la pace, o la guerra che i Romani avessero co’ Germani, co’ Galli, co’ Parti, o con altri popoli troppo da Tiro lontani? Era dunque la pace di cui godeva Tiro, che rendevala lieta e fiorente; e quindi dalla pace del romano impero niuna prova si può dedurre a conferma di alcuna delle diverse opinioni intorno all’età di Curzio. XII. L’ultima quistione che è ad esaminare intorno a Q. Curzio, si è se egli sia alcuno di quelli dello stesso nome che dagli antichi