Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/678

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QUARTO 64I perchè i nazionali pel continuo conversare con essi, e anche pel desiderio di essere da essi più facilmente intesi, contraevano molto della rozzezza degli stranieri. Or questa barbarie del parlar famigliare assai agevolmente si comunica anche allo scrivere, quando uno scrive in prosa, in cui può senza intoppo spiegare i suoi sentimenti 5 e quasi senza avvedersene usa scrivendo di quelle espressioni medesime di cui suol usar conversando; di che abbiam lungamente parlato nella Dissertazione preliminare premessa a questo volume. Ma al contrario quando si scrivon versi, le leggi della quantità e del metro rattengon la penna e la mano dello scrittore, e necessariamente il costringono a riflettere su ciò che scrive, a esaminare, a correggere, a cambiar l’espressioni, e a cancellar sovente ciò che avea già scritto. Quindi scrivendosi in versi con maggior riflessione, non è maraviglia che scrivasi ancora più ’coltamente 5 e che minor rozzezza s’incontri ne’ poeti che ne’ prosatori. E questa parimenti io penso che sia la ragione per cui i giovinetti che attendono agli studj della eloquenza e della poesia, sono comunemente più colti in questa che in quella, come molti per lunga esperienza hanno osservato 3 perchè quando scrivono in prosa, scrivono comunemente ciò che lor vien prima alla penna-, ma il verso li obbliga a pensar meglio alla scelta delle espressioni, e li rende, quasi lor malgrado, più esatti (19). Così (*) Olire la maggior riflessione che dee fare necessariamente chi scrive in versi, giova ancora non poco a TlRABOSCHl, Voi. II. 4l