Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/221

Da Wikisource.

«6o LIBRO povertà del suo giudizio (ib. p. 562); uomo che avea una grande opinione di se medesimo (ib.); e parlando de’ Morali su Giobbe così ne dice: Come Gregorio privo affatto de’ I principii della filosofia a niuna cosa era meno; opportuno che a scrivere insegnamenti morali, così convien confessare che in questi libri nulla egli ha scritto onde la filosofia e la teologia mo. rale possa ricevere alcun vantaggio (ib. p. 563). Questi non son certo i più piacevoli complimenti. E nondimeno potrebbon sembrar tali in confronto di ciò che poscia egli ne ha scritto. Nell’appendice alla stessa sua Storia ei torna a ribattere il chiodo, e dice che questo per altro buon vescovo non ebbe dalla natura acutezza o forza alcuna d ingegno, e che non seppe l’arte di ben ragionare (App. 558). Ma mentre egli così scriveva, vennergli alle mani due libri contro di lui pubblicati in difesa di S. Gregorio, uno da un monaco di Frisinga J dell’Ordine di S. Benedetto , l’altro dall’anonimo francese autore della Storia dell’Ecclettismo, da noi pure in altro luogo mentovato. Quindi egli pensò di dover nuovamente entrare in battaglia, e con una lunghissima e, mi sia lecito il dirlo, noiosissima digressione di ben quaranta pagine (ib. a p. 633 adp. 672) prese a combattere le ragioni da essi allegate, e a svolgere e confermare e cento volte ripetere le cose che avea già scritte, e il giudicio che della superstizione, dell’ignoranza, del poco discernimento di questo pontefice avea già dato. Io penso che pochi si troveranno che abbian avuta la sofferenza di leggere tutto un sì lungo tratto.