Vai al contenuto

Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/24

Da Wikisource.

della lingua ITALIANA XXIII ■ veje mancarle un’espressione, una frase, una parola che sia analoga al genio della lingua medesima, il tentar cF introdurla. Se a qualche tribunale a ciò destinato, o il comune consentimento della nazione l’approva, essa allora diviene espressione , frase e parola propria di quella lingua. Di questa libertà , al pari delle altre lingue, gode ancora l’italiana. Si confronti la prima colle ultime edizioni del Vocabolario della Crusca, e si vedrà quante voci siano state aggiunte a queste che mancavano alla prima, voci nuovamente coniate, e non solo da autori toscani, ma anche da’ veneti, lombardi, romani, ec. quali furono il Bembo, il Castiglione, lo Speroni , il Segneri, ec., ec. O non esiste dunque questo eccessivo abborrimento, o se esiste, è comune alle altre lingue ancora, e non si vede per qual ragione alla italiana soltanto debba riuscir dannoso , e come possa accadere che l’Accademia della Crusca abbia tenuto quasi sotto crudel servitù il nostro idioma, e lo stesso non sia accaduto del francese e dello spagnuolo, della cui perfezione si sono parimente incaricate le RR. Accademie francese e spagnuola. Egli è vero che 1’Accademia della Crusca è stata considerata da alcuni come una dispotica e severa tiranna che arrogandosi ingiustamente l’impero sulla lingua italiana , prescriveva arbitrarie leggi, e o riceveva , o escludeva a capriccio le voci, secondo che a lei meglio sembravane. Nè io debbo qui intraprendere l’apologia di quella Accademia. A me basta il riflettere che in primo luogo , come già si è osservato , essa ha adottate non poche voci di nuovo conio, e ha con ciò animati gli scrittori italiani a formarne altre nuove; e che in secondo luogo questo assoluto impero dell’Accademia non è comunemente riconosciuto in Italia , e che la maggior parte degli scrittori italiani ha sempre usato di quella saggia e discreta libertà che da niuna legge può esser rattenuta e frenata. V. L’esser troppo sollecita di conservar P armonia; dal che avviene sovente che si tolga all’immaginazione ciò che vuol darsi alP orecchio. Ecco una nuova legge a cui ci vuole soggetti il sig. ab. Arteaga, e che noi non sappiamo che mai ci sia stata intimata. In qual codice ha egli trovato che la lingua italiana debba più che alla forza aver riguardo all’armonia? Io lo sfido a