Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/275

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2 I 4 I.TBRO solo noi non troviamo che alcun re longobardo volesse sottomettere gl’Italiani alle leggi della sua nazione, ma veggiam chiaramente ch’essi, a imitazione dq’re ostrogoti, permiser loro di viver secondo le antiche leggi. Ne abbiamo un’evidente testimonianza nelle leggi del re LiutOo prando, dalle quali raccogliesi che nei contratti i notai doveano formar gli stromenti secondo la legge che i contrattanti seguivano (l 6, c. òq)’f De scribis, dic’egli, hoc prospeximus, ut qui chartam scripserint sive ad io geni Langqbardorum.... sive ad legem Roman orum, non aliter faciant, nisi quomodo in illis le gibus continetur, ec. Doveanvi dunque essere e tribunali e giudici italiani, che agl’italiani rendesser giustizia nelle cause che si offerivano a esaminare; e quindi alcuni pochi almeno doveano essere anche a questi tempi in Italia uomini versati nello studio della giurisprudenza. Ma gli scrittori di questa età sono e sì scarsi di numero, e sì mancanti di opportune notizie, che non solo di essi non ci han lasciata memoria, ma anche de’ fatti più importanti non ci han tramandata che una confusa e disordinata contezza. IV. I Longobardi, come si è detto, vissero lungamente, a somiglianza di altri popoli barbari, senza leggi scritte di sorte alcuna. Rotari fu il primo tra’ loro re che col consenso de’ grandi del regno, de’ giudici e dell’esercito, come egli stesso nella prefazion si dichiara, fece raccogliere, ordinare e correggere quelle leggi che da lungo tempo per tradizion de’ maggiori si osservavan tra’ suoi , e formatone