Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/412

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TERZO 351 L’ab. le Beuf, il quale pensa che Paolo fosse condotto in Francia da Carlo Magno dopo l’espugnazion di Pavia l’anno 7-4, afferma che il fratello di Paolo fu in quell’occasione medesima condotto prigione; che Paolo per sette anni non ebbe coraggio di farne motto a Carlo: ma che finalmente mosso a pietà del fratello e della famiglia, gli porse l’anno 781 la supplica da noi or riferita. Ma è egli probabile che Paolo sì caro al re, e introdotto tant’oltre nella real confidenza , per sette anni non gli facesse parola per l’infelice fratello? Poteva egli temere che la sua richiesta non fosse favorevolmente accolta? E quando pure ciò si credesse possibile, e si concedesse che Paolo lasciasse trascorrer sett’anni senza giovarsi del favor del sovrano a pro del fratello, crederem noi possibile ancora che Paolo in questa supplica non desse alcun cenno de’ beneficj ch’egli avea ricevuti da Carlo, e della grazia di cui l’onorava? Eppure leggansi tutti que’ versi, non v’ ha una sillaba da cui si raccolga che Paolo fosse già conosciuto da Carlo; e uno straniero che per la prima volta si gittasse a’ piedi di un principe, non potrebbe usare espressioni diverse da quelle di Paolo. Questi anzi parlando di se medesimo, dice che già da sette anni menava i giorni in continua afflizione e in continuo pianto. Un uomo che già da sette anni godesse delle grazie di Carlo, dovrebbe egli parlare di tal maniera? Non dovrebbe anzi egli dire che benchè la grazia reale rendesse a lui sì giocondi e sì onorati i suoi giorni, questi nondimeno venivano amareggiati dal dolore che sosteneva per