Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/417

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356 LIBRO XII. Ne’ versi di Pietro Pisano, da noi già mentovati, tante e sì gran lodi si dicon di Paolo, che del più dotto e del più elegante uomo del mondo non si potrebbon dire maggiori. Già abbiam veduto ch’egli il chiama dottissimo sopra tutti i poeti, e in varie lingue versato. Quindi prosiegue a dire: Graeca cerneris Homerus, Latina Virgilius: In Hebraea quoque Philo, Tertullus in artibus; Flaccus crederis in metris, Tibullus eloquio. Io non so se del più colto poeta siasi mai detto altrettanto. Se non ci fosser rimaste le poesie di Paolo, noi riputeremmo ben luttuosa una tal perdita. Ma noi ancora ne abbiamo alcune; ed esse, benchè siano per avventura le migliori fra tutte quelle di questo secolo, troppo però son lungi dal potersene uguagliare F autore a’ poeti nominati da Pietro. Questi prosiegue a dire che Paolo teneva ivi scuola di gramatica, col qual nome comprendevansi allora le belle lettere, e che insegnava ancora la lingua greca; e rammenta, come già si è detto, l’istruire che in essa faceva i cherici destinati ad accompagnare Rotrude. Paolo risponde nel medesimo metro a Pietro, o piuttosto a Carlo Magno a cui nome avea scritto Pietro, e dice modestamente che nelle lodi a lui date ei non potea ravvisare che uno scherzo e un’ironia. Egli sminuisce quanto più può il pregio attribuitogli di sapere