Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/607

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546 LIBRO Psello fu involto nella loro rovina, e mandato in esilio, e Giovanni fu a lui surrogato nella principal cattedra di filosofia, e nell’onorevole nome di sommo tra tutti i filosofi. \. Prese egli a spiegare allora i libri di Aristotele e di Platone; e benchè nella gramatica e nella eloquenza non fosse troppo versato, le sue dissertazioni ciò non ostante sembravano ingegnose e piene di ogni maniera d’erudizione. Ma ei trionfava singolarmente nel disputare; perciocchè con sì sottili e con sì forti argomenti incalzava e stringeva il suo avversario, che quegli allacciato da ogni parte non poteva in alcun modo schermirsi; e tanto più che il troppo ardente filosofo alla forza delle ragioni aggiugneva quella ancor della mano; e poichè avea costretto a tacere il suo avversario, gli si avventava alla barba, e malmenandola e facendone strazio , troppo crudelmente trionfava del vinto nimico: benchè poscia cambiando tosto il furore in pietà, pregavalo colle lagrime agli occhi a perdonargli la ricevuta ingiuria. Questa sì strana maniera di disputare fu in gran parte cagione eli’ ci non formasse alcun famoso discepolo, e che anzi egli risvegliasse contro di se medesimo l’indegnazione di tutti per modo, che salito all’impero l’anno 1081 Alessio Comneno, Giovanni fu a lui accusato non sol de’ tumulti che colle sue troppo calde contese sollevava nella città, ma anche di erronee e perniciose sentenze ch’ei sosteneva. L’imperadore avendo inutilmente tentato di farlo ravvedere de’ suoi errori in una assemblea di ecclesiastici. commise al patriarca Eustrazio, che privatamente con lui disputando