Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/665

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m Ragioni per dubitare del fatto che di esso raccontasi. Gc>4 Meno ancora di Giustiniano e delle Novelle non troviamo, ch’io sappia, altra memoria in questi tempi, che nel Catalogo de’ libri fatti copiare dall1 abaie Desiderio (Chron. Monast. Casin. l. 3, c. 63). E nondimeno crederem noi che altra copia non ve ne avesse? Se l’abate Desiderio ne fece far copia, convien dir certamente che almeno un altro esemplare ve ne fosse, di cui ei si servisse. Finalmente noi vedremo tra poco che il celebre Irnerio prima dell’anno x 135 scrisse la sua Chiosa sulle Pandette, e recheremo con ciò una pruova convincentissima eli’ esse erano conosciute innanzi a quell’epoca. Da tutte le quali cose è manifesto, s io non m’inganno, che se i Pisani scopersero in Amalfi, e portaron seco il famoso codice delle Pandette, essi poteron bensì vantarsi di aver acquistato un codice per la sua antichità pregevolissimo, e di cui ancora scarsi erano allora probabilmente gli esemplari, ma non tale che altro non ne avesse a que’ tempi tutta l’Italia. VII. Or ciò presupposto, dobbiam noi credere vero ciò che del sacco dato da’ Pisani ad Amalfi, e di questo codice da essi trasferitone a Pisa, ci narran molti? Eran già corsi quattro secoli dacchè i Pisani godevano di questo vanto; e niuno avea ancora ardito di lor contrastarlo; anzi l’an 1722 un erudito Oltramontano , cioè Arrigo Brencmanno pubblicò in Utrecht un’ampia e diffusa Storia dello scoprimento e delle diverse vicende di quel codice sì rinomato. Ma l’anno medesimo l’avvocato Donato Antonio d’Asti, nel secondo suo libro