Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/400

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SECOXDO 379 lo incocrenze c!ie in essa s incontrano. Ma essi non ¡«anno veduta la maggior parte degli scrittori contemporanei da me allegati; e non è perciò maraviglia che non abbian potuto scriver su questo argomento coll’ordinaria loro esattezza. Solo essi arrecano il passo di Gherardo Maurisio. Ma ad esso rispondono che questo scrittore ha parlato con sinistra prevenzion di Giovanni. A dir vero però, non parmi che sia questa troppo ben fondata risposta. Il Maurisio ne dice lodi grandissime, il chiama uomo assai religioso, esalta il gran frutto da lui ottenuto colla sua predicazione, e rammenta ancora i prodigi da lui operati. Ei dunque non gli era punto nimico, e può a ragione esiger fede, quando racconta il fallo in cui cadde Giovanni col voler essere podestà di Verona e di Vicenza. Questo fatto medesimo è confermato da Antonio Godi e da Parisio di Cereta, come abbiamo di sopra accennato; ed altri scrittori ancora, come il Monaco Padovano (Script rer. ital. vol. 8. p. 674) e l’autore dell’antica Cronaca Estense (ib. vol. 15, p. 306), benchè nol raccontino espressamente, dicono nondimeno che nello spazio di un mese tutto il frutto della predicazione di F. Giovanni venne a nulla. Al contrario non vi ha alcun antico scrittore che neghi, o in altro modo racconti il fatto medesimo; e parmi perciò, che secondo le leggi di buona critica non possa rivocarsi in dubbio che F. Giovanni, lasciandosi trasportare troppo oltre dallo stesso suo zelo, non si assumesse spontaneamente il governo delle città di Vicenza e di Verona. Per ciò che appartiene al