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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/575

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554 LIBRO XX. Ci siam finor trattenuti intorno alla vita civile e militar di Sordello. Or ci rimane a cercar dell’opere d’ingegno ch’egli ci ha lasciate, nel che non avremo ad incontrare molte difficoltà. Egli fu uno de’ più felici coltivatori della poesia provenzale. Nell’antico codice Estense abbiamo nove componimenti poetici di Sordello (p. 84, i4o, 2.58), c tre altri nel più recente (p. 344)• U*1 ili css* è stato pubblicato da Mario Equicola nella sua Cronaca di Mantova (pag. 45, ed. di Mant. 1607). Il Nostradamus afferma, come abbiam detto, che Sordello nelle sue poesie non cantò mai di amore. Io non so quai fossero le poesie che il Nostradamus ne lesse; ma certo in quelle de’ codici Estensi non poche volte ei tratta di argomenti amorosi , e tale è fra le altre quella che poc’anzi abbiam rammentata. In prosa provenzale scrisse ancora Sordello alcuni trattati che si annoverano dal Nostradamus, se pur questo scrittore ci può bastare perchè il crediamo. Sordello non coltivò solamente la lingua provenzale, ma la italiana ancora. E perciò Dante parlando de’ dialetti d’Italia e del molto che ognun di essi prende da’ suoi vicini, ne reca in esempio Sordello, dicendo ch’ei mostra che la sua Mantova prendeva molto da’ dialetti delle vicine città di Cremona, di Brescia e di Verona, e insieme il loda che uomo, com’egli era, di grande eloquenza non sol nei poemi, ma in qualunque modo parlasse , pure si discostava dal volgar gaidialetto della sua patria: Ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremonae, Brixiae atque Veronae confini, qui tantus eloquentiae vir existens