Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/717

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XX. Descriiionede)Pop<’ni inliloLia il Tesoro. 696 LIBRO Possiam noi bramare espressione in cui Dante più chiaramente ci mostri che Brunetto era stato già suo maestro? Finalmente, dopo più altre cose, Brunetto prende congedo e dice a Dante: Sieti raccomandato il mio Tesoro, Nel quale io vivo ancora, e più non cheggio. Del Tesoro di ser Brunetto ragioneremo tra poco. Frattanto non ci dipartiamo da Dante, il quale anche ne’ suoi libri della Volgare Eloquenza ha fatta menzione del suo maestro, benchè non troppo onorevolmente, rammentandol tra quegli uomini famosi fiorentini che nello scrivere, in vece di usare il volgar nobile e cortigiano, usarono anzi il lor dialetto natìo (l. 1, c. 13). Ma questa accusa finalmente non cade che sullo stil di Brunetto, e possiam credere che in questa ancora Dante si lasciasse condurre più da un cotal suo odio contro il parlare de’ Fiorentini da lui provati sconoscenti ed ingrati, che da un retto ed imparziale giudizio. Alcuni aggiungono che anche Guido Cavalcanti fu discepolo di Brunetto, ma io non veggo qual pruova o qual autorità se ne adduca. XX. Rimane a dire dell’opere di questo illustre scrittore. Giovanni Villani le annovera in questo modo: Et fu quelli ch’espose la Rethorica di Tullio, et fece il buono et utile libro detto Tesoro, e ’l Tesoretto et la Chiave del Tesoro, et più altri libri in Filosofia et quello de’ vitii et delle virtù. Fra queste opere, quella che rendè più illustre Brunetto, fu il s 10 Tesoro. Essa è in somma un compendio di Plinio,