Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/123

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86 LIBRO provava indicibil dolore: Noi andammo già in* sieme, scriveva egli l’anno 1367 a Guido da Settimo (Senil. l. 10, ep. 2), suo compagno nei primi studj e allora arcivescovo di Genova , noi andammo già insieme a Bologna, di cui non era allora città più piacevole, o più libera in tutto il mondo. Tu ben ti ricordi qual folla di scolari vi avesse, qual fosse il loro ordine, e quale la vigilanza de’ professori. Parevaci di veder risorti quegli antichi giureconsulti. Ma ora appena ve ri ha alcuno. A que’ tanti e sì grandi ingegni è sottentrata una universale ignoranza; e Dio voglia ch’ella sia come nemica, e non come ospite, o se come ospite, almeno non come cittadina, e, ciò ch’io pur temo, signora. Tanto a me sembra che tutti, perduto omai il coraggio, si stiano oziosi. Quale abbondanza inoltre di tutte le cose eravi allora, e quale fertilità! sicchè in ogni parte del mondo dicevasi comunemente la pingue Bologna. Ella comincia ora, è vero, per opera del regnante romano pontefice (Urbano V) a risorgere e a rifiorire; ma fino al presente per cercarne che tu facessi non sol le viscere, ma ancor le mi-, doUe, non troveresti cosa più arida e più smunta. Il Cardinal legato (Androino dalla Rocca) che di fresco ne ha avuto il governo, essendo io andato tre anni sono a visitarlo , poichè mi ebbe ricevuto e abbracciato cortesemente, messo il discorso sullo stato infelice di quella città, Questa, mi disse scherzando, fu già Bologna, ma ora è Macerata, alludendo al nome di una piccola città della Marca. E poco appresso: Perchè vo io trattenendomi tanto