Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/292

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secondo a55 disposto a tornar dopo quell’anno in Italia (Lett. di SS. eBB.fior. p. 47), ma probabilmente ei prolungò di qualche anno il suo soggiorno in Parigi. Ei vi ebbe poscia il titolo ancor di maestro, di cui il vedremo fra poco onorato in una lettera dal Comun di Firenze. Tornato in patria fece conoscere qual progresso lietissimo avesse fatto non solo ne’ teologici studj, ma ancora, secondo il consiglio del Petrarca, nella letteratura d’ogni maniera. Fra i molti passi qua e là sparsi nella citata Vita d’Ambrogio camaldolese, due soli io ne scelgo più di tutti opportuni a provare quanto dotto uomo fosse Luigi, e quanto si adoperasse in istruire e in eccitar gli altri allo studio. Il primo è tratto da’ Dialogi latini di Leonardo Aretino, nei quali egli induce Coluccio Salutato a ragionare in lode del Marsigli, e dopo aver narrato ch’ei soleva spesso andare a lui per giovarsi di sì erudita conversazione, quando, dice, io era con lui, prolungava a molte ore il discorso, e nondimeno io ne partiva sempre con dispiacere; perciocchè io non poteva saziarmi giammai della presenza di sì grand’uomo. Qual forza, Dio immortale, qual abbondanza aveva egli nel ragionare, e qual vastità di memoria! Ei possedeva non sol le cose che a Religione appartengono, ma quelle ancora, che sogliam dire gentilesche. Avea ognor sulle labbra Cicerone, Virgilio, Seneca ed altri antichi scrittori, e non sol riferivane i sentimenti e i pensieri, ma spesso ancora ne recitava le parole, per modo che pareva dire non cose altrui, ma sue. Niuna, cosa poteva io dirgli giammai che gli giugnesse nuova;