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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/204

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l88 LIBRO ab. Melma, (l. cit. p. 49)• Un libro, ma non dice quale, trovò pure in Germania, e inviollo al duca di Calabria, Giannantonio Campano (l.9), ep. 44); il quale aggiugne che in que’ paesi eran frequenti i codici di opere pregevoli assai; ma che era difficil cosa il trarli dalle mani de’ lor possessori , dei quali per altro parla con gran disprezzo , rappresentandoli come uomini barbari e rozzi, e che non s’inducevano a dare un libro, se non quando si faceva lor credere che contenesse poesie. Le quali espressioni, a quella nazione ingiuriose, han dato motivo a Gian Bucardo Menckenio di scrivere una dissertazione sull odio cbe il Campano portava a’ Tedeschi (Post Campan. Epist ed. Lips. 1707). Il celebre f Giacomo veronese, di cui diremo più a lungo tra gli architetti, portò da Parigi un codice compito delle Epistole di Plinio il giovane, che prima non si aveano che assai mancanti; e a lui pure dobbiamo l’edizione di Giulio Ossequente, l’emendazion di Vitruvio e di Frontino, e dei libri dell’Agricoltura di Catone, oltre i Comenti che pubblicò sopra Giulio Cesare, e la bella descrizione del ponte da lui fatto sul Reno (V. Maffei Ver. JUn s tr. t. 2 , p. 262 , ed. in 8).

IX. Questo fervore nel raccogliere da ogni parte quanti più codici fosse possibile, risvegliò il pensiero di rinnovare l’esempio de’ Romani e de’ Greci, e di altri ancor più antichi sovrani , nell’aprire a comune vantaggio pubbliche biblioteche. E il primo, a cui cadesse in mente sì glorioso disegno, fu Niccolò Niccoli di patria fiorentino, uomo dottissimo, e