Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/308

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293 LIBRO (l’incerto autore , clic si legge nel codice trivigiano (p. 177): O Kinace vi rum velerum monumenta requirens Aethiopes, Indos, A ruba s, Theucroscjue petisti. Ossa Cremona tenet!: animus (tamen astra petivit: Gloria Picenum, Piceni carmen habebis.

X. Abbiam finora seguito Ciriaco nell1 aggirarsi el11 ci fece in molte provincie affin di raccogliere e di copiare iscrizioni ed altri monumenti pregevoli dell’antichità. Or convien ricercare qual autorità e qual fede si debba alle raccolte ch’ei ce ne ha date. Alcuni scrittori, e tra essi monsignor Antonio Agostini, monsig. Filippo delle Torre , il Bigot, e più altri citati dal co. Mazzucchelli ci danno Ciriaco come un solenne impostore che a suo talento fingeva iscrizioni, statue, medaglie, come meglio piacevagli, e vuolsi ancora che perciò non si continuasse in Roma a’ tempi del Cardinal Barberini la sopraccennata edizione di tali antichità. Al giudizio di questi moderni scrittori si aggiugne quello di due antichi e contemporanei a Ciriaco , cioè del Poggio e di Pier Candido Decembrio. Il primo , in una sua lettera a Leonardo aretino (Op. p. 330, ed. Basil. 1538), lo chiama uomo insulso, ridicolo, incostante, loquace, stolido, ciarlone, che non sa che si legga, ne che si scriva; che confonde le parole greche colle latine , ed ha uno stile incolto e barbaro; che dalla Grecia altro non ha seco portato che leggerezza e pazzia; pieno di debiti, e degno di esser punito più col bastone che colla lingua. Ognun però vede tosto in questa maniera di v