Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/81

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PRIMO G5 dalle erudite quistioni che or egli , or alcun altro de’ circostanti movevano. A questa lezione soleva egli (Panormita, De die ti s et factis Alphons. l. 4, n. 18) che lecito fosse ad ognuno 1 intervenire; e i fanciulli studiosi ancora ammetteva a tal fine nelle sue stanze, escludendone, se facesse bisogno, i più ragguardevoli cortigiani che ad altro fine vi si recassero. Ed era sì avido di un tal esercizio, che leggendosi un giorno la Storia di Livio, mentre ivi presso faceasi un armonioso concerto di musicali stromenti, il re impose a questi silenzio (ib. l. 1 , n. 16). La Vita di Alessandro Macedone scritta da Quinto Curzio, e lettagli dal Panormita, mentre giaceasi infermo in Capova , talmente lo dilettò, che non fu d’uopo d’altra medicina a guarirlo (ib. n. 43). Nel tempo ancora in cui egli era armato in guerra, non lasciava passare alcun giorno in cui non si facesse leggere qualche tratto de’ Comentarj di Cesare (ib. l. 2, n. 13). Somigliante piacere provava egli nell’udire qualche eloquente oratore; e due scrittori di que’ tempi ci narrano (ib. l. 1 , n. 45; et Naldus Naldius Vit. Jannotili Maiu l/ii, voi. 20 Script. Rer. ital. p. 550) che quando Giannozzo Manetti, spedito a lui ambasciatore de’ Fiorentini , tenne innanzi ad Alfonso la sua orazione, questi ne restò preso per modo, e udillo con sì profonda attenzione, che non levò pur una volta la mano a cacciar una mosca che gli si era fermata sul naso. Di questo singolare impegno di Alfonso a pro delle lettere, fu testimonio in quella occasione lo stesso Manetti; e il Naldi, che ne ha scritta la Vita, ci Tiiuboscui, Voi VII. 5