Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/89

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PIUMO 73 non so qua! somma (l. 8, cp. 8), ed ebbela tosto; poichè abbiamo la lettera con cui il ringrazia che abbia ascoltate la sue preghiere (ib. ep. 10). L’anno seguente sotto pretesto di una sua figlia che dovea dare a marito, gli chiese di nuovo cinquanta scudi d1 oro (ib. l. 11, ep. 30), promettendogliene la restituzione nelle lodi che di lui dette avrebbe nella Sforziade, cui stava allor componendo. In questa lettera confessa il Filelfo, che era questa la terza volta in cui ricorreva a lui per soccorsi; e questa volta ancora Lodovico il compiacque , come raccogliam dalla lettera piena di encomj che poco appresso il Filelfo gli scrisse ib. ep. 32). Convien dire anche, che nel 1457 ei ricevesse qualche novella pruova della bontà che avea per lui Lodovico, perciocchè in una lettera a lui scritta in quest’anno (l. 14 , ep. 1), gli rende grazie pe’ magnifici donativi che ne riceve ogni anno 5 e dice che non è maraviglia che Lodovico sia in venerazione e stima presso tutti i dotti, perciocchè egli supera in eloquenza e in dottrina tutti i principi italiani, e a’ coltivatori delle belle arti si mostra sempre magnifico e liberale. Nella lettera stessa lo esorta a non permettere che il suo figliuol Federigo abbandoni, come parea doversi temere, gli studj, e a porgli a fianco un valoroso e accorto maestro che direttamente lo scorga sul cammin delle scienze, e lo animi a non essere in ciò da meno del padre e degli antenati. Io non trovo però, ch’egli seguisse in ciò gli esempj di Lodovico e di Gianfrancesco. Di Francesco di lui figliuolo direm nel tomo seguente.