Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/327

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TERZO 9&) stato ne1 primi anni disprezzatore della Religione, aggiugnendo però di aver udito narrare che sul fin della vita avea preso a rispettarla. E abbiam veduto di fatti, che l’uso da lui introdotto di prendere il nome dal gentilesimo, e certe feste da lui celebrate in onore del dì natalizio di Roma, il fecer credere reo d’empietà. Ma il Ferno, che per molti anni gli era stato non solo scolaro, ma intimo confidente, ci assicura eh* ei fu sempre lungi da tal delitto , e che dopo aver piamente vissuto, morì ancora con sentimenti di singolar divozione. Il Zeno produce parecchi elogi che del sapere non meno che della modestia di Pomponio han fatto il Platina, ilPontano, il Sabellico, il Poliziano , con cui veggiamo ch’ei teneva commercio di lettere sopra le antichità (l. 1, ep. 15, 16, 17, 18), Beato Renano, Pietro Martire d’Anghiera, che con lui pure teneva corrispondenza (Petri Mart. Angler. ep. 18), Paolo Cortese, e più altri; le testimonianze de’ quali possono bastare ad opprimere, non che a confutare il sentimento del Vives, che ne ha parlato con molto disprezzo. Non vuolsi però dissimulare che anche Rafaello Volterrano non aveane grande stima; perciocchè sembra ch’ei ne derida la soverchia affettazione dell’antichità: Pomponius natione Calaber Graecorum ignarus, tantum antiquarium se se farti laverai; ac si qua nomina exoleta et portentosa invenerat, scholis ostentabat (Com. Urbana, l.21). E sembra in fatti ch’egli avesse per l’antichità quella soverchia e superstiziosa ammirazione di cui si veggono anche al presente non rari esempj. Il qual