Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/225

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P1UMO 21 1 III. Una sì illustre adunanza, a cui forse mai non v’ebbe l’uguale, meritava sorte più lieta e più durevole felicità, il sacco di Roma del 1527 fu ad essa fatale. Girolamo Negri, in una sua lettera scritta due anni appresso al Sadoleto, descrivendo i danni che n eran venuti, tra’più luttuosi annovera quello della dispersione dell’accademia, sicchè, dic’egli, appena uno o due io trovo al presente in Roma, co quali possa parlar latino, essendo quasi tutti o periti in quel funesto naufragio, o dispersi qua e là in lontani paesi, trattone il solo Savoia, ch’egli qui chiama Savoinorum Princeps, il quale, benchè spogliato egli ancor di ogni cosa, era tuttor nondimeno lieto in volto e faceto nel ragionare, come se fosse il più felice uomo del mondo (Sadol. Epist. famil. t. 1, p. 271, ed. rom.). Tentò Blosio Palladio di rinnovarla, e abbiam su ciò un epigramma di Pierio Valeriano, che incomincia: Vivimus en miserae post saeva incendia Romae, Totque neces, pestes, exitii omne genus; Reliquiae immanis Germani, immiti.-. Iben Vivimus, et nondum funditus occidimus. Extinctas siquidem Blosius nunc suscitat aras, Instauratque tuos docta Minerva cltoros. f'alcr. Htxamelr. Od., ec. p. r 1 o, ed. ven. 1550. Ma probabilmente fu questo un inutile sforzo. Non sì tosto però cominciò Roma a risorgere all’ usata magnificenza, e a ristorarsi da’ suoi gravissimi danni, che in vece della dissipata accademia, più altre nuove ne sorsero ad emulare l'antica, Io non so se appartenga a’tempi posteriori al sacco di Roma, o se ancor prima