Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/320

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3o6 LIBRO \ I. Io potrei ({ili recare i magnifici elogi che ne hanno fatto molti scrittori di que tempi, e quelli principalmente che nell eleganza dello scrivere erano o uguali, o non di molto inferiori allo stesso Manuzio, come Jlartolo rum co Birci (t. 2 Op. p. 308, ec.), il Paggiano (Epistol. t 2, p. GB, ec), il Paleario (t. 1, ep. 17) e il Mureto che gli era amicissimo, e che non ardisce di decidere se più debba a Cicerone il Manuzio, o al Manuzio Cicerone (Var. Lect. l. 1, c. 6, ec.). Ma basti per tutti quel del Bonfadio, uomo il quale ben sapeva che fosse scrivere con eleganza. Questi in una lettera al Manuzio, trattando delle difficoltà dello stile epistolare, Quei lunghi periodi in fatti, dice (Lettere., p. 56 ed bresc. 1758), hanno troppo gran campo, e Ciio/n vi si perde dentro, oltre che in lettere, familiari par che non convengano. È molto più bello e più sicuro quel breve giro, ove voi così felicemente v aggirate, senza punto mai aggirarvi, e volteggiate lo scriver vostro con una leggiadria mirabile, senza mai cadere. Seguirò dunque voi, e mi parrà aver fatto assai, s io potrò appressarmi, che di giungervi pochissimi possono sperare, di passarvi nessuno. Avete un apparato di parole ricchissimo, e le parole sono illustri, significanti, e scelte; i sensi o sono nuovi, o se pur comuni, gli spiegate con una certa vaga maniera propria di voi solo, che pajon vostri, e fate dubbio a chi legge, se quelle pigliano ornamento da questi, o questi da quelle, (Qua spargete un fiore, là scoprite un lume, e si acconciamente, che par che siano nati per adornare