Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 1, Classici italiani, 1824, X.djvu/417

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LIBRO SECONDO ^o3 essii ancor minacciava 7 e facea mestieri a’ pontefici di avere intorno al lor fianco intrepidi combattenti, per rispinger gli assalti che da ogni parte movevano contro la cattedra di s Pietro. Or avvenne per comun danno, che allora appunto)' Italia non fosse troppo feconda di tai teologi, quali a que’ tempi si convenivano. La teologia scolastica, che da S. Anselmo, da Pier Lombardo, da S. Tommaso e da primi loro discepoli era stata saggiamente impiegata a ridurre quasi in sistema le verità della cattolica religione, ed era stata da essi maneggiata con tal ordine e con tal chiarezza che dovea servir di modello a’ secoli susseguenti, era venuta successivamente degenerando dalla sua prima lodevole istituzione. A un raziocinio giusto e preciso erano succedute fredde ed inutili speculazioni j mille barbari e strani vocaboli l aveano sfigurata e renduta non intelligibile a que’ medesimi che n eran maestri. L’erudizione sacra, non che la profana, la cognizion delle lingue, la critica e qualunque altro corredo di elegante letteratura n era stato sbandito come cosa indegna del santuario, e credevasi che alla veneranda oscurità de misteri dovesse andare congiunta l’oscurità, o, a dir meglio, la barbarie dello stile e l’inviluppo di un mal digerito discorso. Alcuni pochissimi, e sopra tutti Paolo Cortese da noi mentovato nel secolo precedente, avean cercato di ricondurre la teologia all’antica sua gravità, togliendola dalla rozzezza fra cui gli Scolastici l avean sepolta. Ma il loro esempio non avea avuti seguaci. Coloro che bramavano di rendersi illustri col loro ingegno,