Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 2, Classici italiani, 1824, XI.djvu/452

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Io52 I.lBltO i suoi beili, se non tornava a Pavia. Nella prima così egli scrive; Annus igitur quintus decimus (quanti appunto ne corrono dal 1518 al 1533) ex quo in Cintate Vcstrae Sancii tatis hac Avenionensi jus Civile profitetur optimus profecto doctissimusque vir Joannes Franciscus Ripa, de quo ego Ue s trae Sanclitati hoc testimonium praebere possum, nullum a me de his, de. quibus aliquid judicare potuerim aut praestantiore ingenio aut illustriore fama fuisse cognitum, nec solum doctrinae et eruditionis, sed virtutis etiam eximiaeque integritatis. Siegue indi a dir gran lodi del Riva, affermando che gran concorso si fa ad Avignone da tutta la Francia per udirlo e per consultarlo, e che tutti gli ecclesiastici di quello Stato a lui ricorrono ne loro dubbii, e aggiugne che partendo il Riva, Avenio hoc quidem tempore luce omni orba et litterarum et jurium, et quotidianae ad cani venienti uni cclcbritatis esset remansura. Somiglianti cose egli scrive al Palladio, a cui ancor dice che il Riva avea in Avignone e moglie e figliuoli e molti beni, e che invitato da più altri principi, avea a tutti preferito il servigio del romano pontefice. Ma le istanze del Sadoleto non ebbero effetto, e al Riva fu necessario tornare in Italia 5 ove dal duca Francesco Maria II fu fatto senator di Milano, e rimandato a Pavia, Io credo ancora che di un anno se ne debba differire la morte, perciocchè negli Atti di quella università si accenna un decreto de’ 30 di aprile 1535: Ut D. Franciscus Ripa Senator possit in sua lectura substituere 1). R elio mini e jus invalesccnlia